Autore: Fernando Aramburu
Titolo: Autorretrato sin mí
Casa editrice: Tusquets
Anno: 2020
Pagine: 192
di Mónica Spencer
“Un uomo che parla in confidenza delle sue ombre, col cuore, come si parla tra amici”. Lo scrittore basco più premiato degli ultimi anni si mostra così com’è in un libro straordinario che arriva in tempi turbolenti per trasformarsi in un’opera imperdibile per gli amanti della letteratura in lingua castigliana. Fernando Aramburu, autore di Patria, uno dei fenomeni letterari più apprezzati in Spagna e nel mondo intero, con più di 700 mila copie vendute, stavolta ci sorprende con Autorretrato sin mí. Un libro intimo, profondo, carico di emozione.
In queste 182 pagine scandite da 61 poemi in prosa, con un linguaggio tenero e accattivante, l’autore trasforma in poesia elementi della vita quotidiana come “…compagna di scrittura, la mela mattutina” o il suo letto, a cui riferisce come possibile scenario del suo ultimo viaggio; essi sono descritti con la bellezza e la delicatezza che a tratti ci ricordano le Odi del gran poeta cileno Pablo Neruda, ma con un marchio inconfondibile che fa di queste parole un posto in cui voler tornare migliaia di volte.
Con la stessa abilità con cui ci presenta la semplicità di un oggetto, come se ci prendesse per mano, quasi senza rendercene conto lo scrittore ci muove dalla semplice bellezza della quotidianità fino agli angoli più nascosti dell’anima, e ci rende complici delle sue emozioni, della sua solitudine di uomo tranquillo, lasciando scoperte, senza risentimento, le ferite della sua infanzia, i suoi sogni di gioventù, l’inizio di una vita di Germania seguendo l’amore di sua moglie, La Guapa, come la chiama affettuosamente, lontano dalla sua San Sebastián natale. Un Fernando Aramburu nostalgico del mare della sua infanzia, degli amori che il mare implacabile lasciò alle spalle e l’immagine ricorrente di suo padre. La vita e la morte.
Questo libro, che fu scritto prima, durante e dopo il successo travolgente di Patria, lungi dall’essere un’autobiografia di un autore nel suo miglior momento, è un insieme di esperienze e di sentimenti raccontati in un linguaggio facile e delizioso, col giusto pizzico di umore e ironia in cui Aramburu riconosce di rifugiarsi molto spesso, quando la tristezza e la solitudine sembrano perseguitarlo.
“Altri lavorano l’oro, il legno, la farina. Io mi sono dato da fare con le parole comuni della lingua castigliana”. Così Aramburu ci racconta i suoi inizi da scrittore nel poema intitolato Las Palabras, l’influenza di Góngora, Bécquer, Aleixandre. “Lunghe notti insonni, il libro aperto nel cerchio di luce, la vita in silenzio mi daranno finalmente la diagnosi accurata. Contagiato da Federico García Lorca, ho contratto la febbre incurabile per la poesia. Ora niente sarà più lo stesso”.
Un libro da leggere con calma, poco a poco, più volte nella vita.
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